All’origine della scrittura: il manoscritto originale e la questione della fonte. 

di Anna Proto Pisani

Princesa è un testo che consente di mettere in luce alcuni aspetti della creazione letteraria, di solito invisibili. Le testimonianze scritte[1] e orali[2] di Maurizio Iannelli, Fernanda Farias de Albuquerque e Giovanni Tamponi sul processo di creazione del libro, hanno permesso di riportare alla luce  l’originale manoscritto di Fernanda Farias de Albuquerque. Princesa rappresenta quindi un testo esemplare del quale è possibile seguire tutto il processo di creazione. È possibile infatti ricostruire in primis la fase del racconto orale di Farias de Albuquerque sulla propria vita rivolto a Tamponi e Iannelli, avvenuto nella tensione del carcere romano di Rebibbia, spesso in situazioni estreme – in cella, nel cortile, in chiesa, attraverso sbarre, grate e finestre, talvolta sotto la pioggia[3] -. L’archivio personale di Iannelli e di Sensibili alle foglie (di cui versiamo una parte delle carte in questo sito) testimonia la prima fase di scrittura: la redazione di fogli e diari da parte di Farias de Albuquerque, la prima trascrizione dei diari in italiano standard di Tamponi, la riorganizzazione di questi materiali da parte di Iannelli attraverso la trascrizione dattiloscritta, e la corrispondenza che questi aveva stabilito con Farias al fine di approfondire alcuni episodi in vista della redazione del libro. L’ultima tappa di questo processo di scrittura è rappresentata dal libro, pubblicato nel 1994 da una casa editrice, Sensibili alle foglie, nata nel 1990 nell’ambito di quello stesso carcere di Rebibbia, per iniziativa di Renato Curcio, Stefano Petrella e Nicola Valentino, al fine di dare visibilità a quelle scritture suscitate e raccolte ai margini della società, in seguito all’esperienza carceraria. Di questo testo, a differenza di molti altri, è quindi possibile identificare la fonte e ricostruire la stratificazione del racconto dalle prime manifestazioni orali, alla scrittura manoscritta in interlingua italiano-portoghese, alla riscrittura in lingua standard della trascrizione di Tamponi, fino alla riscrittura letteraria di Iannelli. In questo processo di creazione che attraversa l’oralità e la scrittura, l’analisi dei testi ci porta a distinguere la fonte, o avantesto, ovvero il racconto e la scrittura di Farias e di Tamponi, dal libro, ovvero la scrittura di Iannelli, nonostante le continue interazioni da cui nascono questi testi, le cui tracce sono numerose e visibili. 

La questione in termini di manoscritto e di fonte rimane valida per quelle creazioni che accedono all’edizione e che pretendono rifarsi alla realtà – reale o presunta che sia – rappresentata da un originale manoscritto, imponendosi su di esso, in una sorta di gioco di potere, alla maniera di un romanzo dell’Ottocento il cui incipit ne racconti la scoperta. Ma una volta ritrovato l’originale come leggere quel testo che è rimasto manoscritto, con quali strumenti e quali obiettivi? Deve esso per forza essere considerato subalterno al testo edito? La critica letteraria dei gender studies e dei postcolonial studies e quella della letteratura della migrazione nata nel solco di questi studi, ci conducono a riconsiderare questi testi, tradizionalmente definiti come fonti, e a studiarli con nuovi strumenti e nuove prospettive epistemologiche. A tal punto che, se approfondiamo l’analisi, lo stesso concetto di fonte diventa problematico.

 

L’edizione da parte di Michel Foucault del testo manoscritto di Herculine Barbin offre anch’essa delle suggestioni sul rapporto creativo e di potere che si è stabilito tra le memorie di quest’ermafrodita dell’Ottocento e la riscrittura medica e narrativa che è stata poi fatta del suo corpo e della sua vita[4]. Paradossalmente il testo frammentario e mutilato di Herculine Barbin è stato trasmesso da quello stesso potere medico che indagava e ispezionava il sesso di questo/a giovane, alla ricerca di quella classificazione binaria che ha costituito l’origine della sua tragedia. La storia di Fernanda Farias de Albuquerque è tutt’altra, ma l’autorappresentazione del soggetto queer e il rapporto che si stabilisce tra i vari testi che raccontano questa vita permettono di stabilire un legame tra Princesa e le memorie di Herculine Barbin e di offrire delle piste di lettura per analizzare la creazione e la stratificazione dei testi. 

 

A partire dall’analisi di una parte del manoscritto di Princesa e del libro edito, il presente saggio si propone di studiare il significato identitario e politico delle diverse scritture della storia di Fernanda. Analizzando la rappresentazione del corpo nell’uno e nell’altro testo, si intende riflettere sul cambiamento della narrazione tra il manoscritto e il libro e sul significato di questo cambiamento. I materiali manoscritti studiati in questo articolo consistono nel dattiloscritto con il quale Iannelli ha riunito i quaderni di Farias, e in una parte delle lettere. 

 

Fantasias: travestimenti, giochi e metamorfosi nella rappresentazione del corpo e della sessualità.

Nel manoscritto di Farias de Albuquerque la parola fantasia è un termine ricorrente[5]. In portoghese il vocabolo fantasia ha un doppio significato: immaginazione, chimera, sogno, follia da una parte, travestimento dall’altra; il termine è quindi spesso usato in modo improprio da Farias de Albuquerque, perché solo il primo significato corrisponde all’italiano fantasia. La parola è ripresa nel libro, spesso con questa stessa polisemia che non appartiene però all’italiano standard[6]Fantasia ci sembra quindi un termine che esprime la forza di questi testi di Princesa sia in quanto racconto di travestimenti e metamorfosi del personaggio Fernando/Fernanda, sia in quanto operazione di scrittura e riscrittura, poiché ogni scrittura può essere considerata come un’immaginazione ma anche un travestimento diverso dello stesso racconto.  

Per capire meglio le differenze tra queste scritture, le analizzeremo attraverso le tematiche principali che affrontano: l’aspirazione al cambiamento e le questioni legate al corpo, alla sessualità e alla violenza. La parola fantasia, – travestimento e sogno -, che nel significato portoghese anima anche il testo italiano, costituisce una sorta di filo conduttore di questa analisi.

 

Il primo travestimento descritto nel manoscritto evoca Fernando bambino che si mette una tovaglia in testa per simulare i capelli lunghi e travestirsi da bambina, in occasione del gioco a carattere sessuale della vacca e del toro, praticato con i cugini: 

Una volta sono andata da giocare da uno vitello fascendo la vaca. Ho prezo una botta di queste toro chi sono rimasta per terra mezza ora. Avevo 12 anni. Il gioco più bruto chi ho fatto. Chi ragiona capisce a che cosa sono andata a fare con questo toro. Io a casa metteva in testa una tovaglia per fare finchi era i capelli lunghi. Poi guardavo come camina le uomo e come caminava le dona. (…) Un giorno ho imitato una cabra, pure mi metteva di ginochio per terra e manni appogiatta come il cbra [sic] davero, per tanti volta.[7]

Nel ricordo della narratrice, questo gioco rappresenta la prima trasgressione di genere, sia per il ruolo assunto, quello della vacca, che per il travestimento da donna e la simulazione del modo di camminare femminile. Il gioco della vacca e del toro riveste un ruolo importante nelle pagine iniziali del manoscritto in cui è ripreso più volte: mette in scena la simulazione della sessualità da parte dei bambini, tra i ruoli convenzionali imposti e la possibilità di trasgredirli. Ci sembra importante soffermarci su questi giochi a carattere sessuale perché rivestono un’importanza centrale sia nel manoscritto che nelle successive riscritture d’autore. La prima descrizione di questo gioco appare infatti sin dall’inizio della narrazione, nella prima pagina del manoscritto, datata 16 settembre 1991, in seguito all’evocazione di un’infanzia caratterizzata dalla solitudine, accanto alla madre vedova. In questo ambiente di vita piuttosto triste gli unici svaghi di Fernando sono i giochi con i cugini: 

Li in quella ità che non sapevo ancora il pecato, che era buone che era male. Mi metevo io più altri 5 o 6 bambini maschetto pere feminusci in mezzo al boschi, li faziamo giochi diversi, mi invergognavo dei bambina voilevo sempre il bambino, mi ricordo murto bene che mi zio almenato il primo, anche un aurto vizino, che, lui sentiva loro due parla cosi Fernandino è la vaca, tu sei il toro io sono il figlio di voi due, si èra moin, tre io quasi arrivando al anni 7 mio primo con 9 anni il amico con 10 anni.[8]

Il cugino impone a Fernando il ruolo della vacca, Fernando scopre così la sua predisposizione per la femminilità e successivamente sceglierà questo ruolo in modo autonomo. Il gioco si svolge nei boschi che rappresentano al tempo stesso il luogo autobiografico delle campagne del Nord-Est del Brasile e il luogo mitico del tempo dell’infanzia. Nei quaderni di Farias questo episodio sarà ripreso e sviluppato sei mesi più tardi, il 26 marzo 1992 dal momento che la scrittura dei quaderni è una scrittura memoriale che procede per frammenti narrativi e non necessariamente secondo l’ordine cronologico dei fatti raccontati: 

Fascevanos fitta chi eramos il gado, touro, vaca, vitello. Quisto pero ascosto di nostri digitores, per due volta mi amenado mia madre, altra mio cognato. Mio cognato mi amenato perche mi trovatto desnudo con unautro acavallo di sopra me e un più piccolo solto di me. Eco, io fascevo la vaca, queste autro bambino era il touro, l’altro il vitello.[9]

Malgrado la situazione scabrosa evocata, la lingua del manoscritto resta pudica nella descrizione del gioco: le parti del corpo non vengono mai nominate, ma solo descritte in modo generale, « desnudo » è il solo termine che si riferisce al corpo. Farias descrive piuttosto la violenza del gioco e ne rileva le conseguenze, in particolare per Fernando: « ho prezo una botta di queste toro chi sono rimasta per terra mezza ora »; portando un giudizio morale sulla sua partecipazione a questo gioco: « in quella ità che non sapevo ancora il pecato, che era buone che era male », « il gioco più bruto chi ho fatto ». Un tale giudizio è motivato anche dal fatto che gli adulti puniscono violentemente il cugino che ne è stato all’origine: « mi zio almenato il primo ». 

Nel riorganizzare il materiale narrativo dei quaderni di Farias, Iannelli sposta questa terza sequenza narrativa all’inizio della sua trascrizione, collegandola alla precedente, infatti, contrariamente al manoscritto, Iannelli ha dato alla narrazione un carattere lineare dal punto di vista cronologico. I bambini sono identificati con i loro nomi (Fernando, Genir, Ivanildo) e ruoli rispettivi (vacca, toro, vitello) e la narrazione è spinta fino alla descrizione dei dettagli più osceni: 

Io ero la vacca. Genir il toro, Ivanildo il vitello. Camicette e pantaloncini sfilavano via in mezzo al bosco. Lontano da tutti, era il segreto. Gemir muggiva e m’inseguiva. Una fantasia di spinte, toccamenti e fiato grosso. Montava la vacca, indiavolava sopra di me. Si dimenava, cucciolo avvinghiato al piede del padrone. Pisello di bambino e strofinio. Ivanildo il vitello, cuginetto trafelato, s’infilava muso muso in quell’inferno. Inumidiva e succhiava sotto la mia pancia. Oh, Ivanildo cerca la mammella ! La mia piccola mammella. Inghiottita mozzicata. Un solletico, un brivido di gioia. Con Genir appiccicoso e a fiato spento il gioco era finito. Io sfinito. Ma Ivanildo rilanciava : Ehi, c’è la pecora e il montone, il gatto e la gatta. Una domenica zio João sbucò dal nulla e ci scoprì. Prendemmo tante botte, poi riferì tutto a Cícera.[10]

Iannelli riprende l’ambientazione nei boschi, anche se all’ambiguità linguistica di Farias che esita fra un singolare e un plurale « al boschi », predilige il singolare che rende evidente il carattere mitico del topos. La durezza del gioco è ripresa da Iannelli che, eliminando la connotazione morale, evidenzia piuttosto la dinamica della violenza. Nella versione del libro il narratore si sofferma sulle azioni e le reazioni dei bambini, la descrizione diventa cruda e incisiva attraverso l’uso di una serie di verbi d’azione di natura animale (« muggiva e m’inseguiva », « montava (…) indiavolava », « si dimenava », « s’infilava », « inumidiva e succhiava »…). La lingua però non è né cruda, né impudica quando evoca le zone erogene: « pisello di bambino », « la mia piccola mammella ». All’inizio del libro infatti la lingua esprime l’infanzia e diventerà più violenta solo nella seconda parte consacrata alla vita di Fernanda nel mondo della prostituzione. 

Nelle pagine successive Iannelli evoca ancora per ben tre volte questo gioco, conferendogli quindi un’importanza centrale nel percorso d’iniziazione di Fernando: 

Io ero la vacca, mi piaceva essere femmina con le bambine, coi cugini. […][11]

Per me era ancora un gioco, io la vacca. Ma lui spinse forte e mi penetrò. […] [12]

Vengo se facciamo il gioco del toro e della vacca.[13]

L’importanza di queste immagini animali nella descrizione della formazione sessuale del personaggio sarà evidenziata ulteriormente da Fabrizio De André. Il cantautore riprenderà questo gioco come incipit della sua canzone: l’attacco riprende infatti la riscrittura di Iannelli del gioco fra bambini:

Sono la pecora sono la vacca 

che agli animali si vuol giocare

sono la femmina camicia aperta

piccole tette da succhiare.[14]

La prima strofa della canzone Prinçesa è costruita sull’identificazione del soggetto con gli animali, la pecora e la vacca, grande novità del testo deandreiano. Questi quattro primi versi della canzone, che hanno reso celebre il libro contribuendo a dargli una certa visibilità e una prima canonizzazione nella cultura italiana, annunciano il destino di Fernanda, attraverso queste prime metafore animali che intendono rappresentare il corpo e l’ambiguità sessuale[15].

 

Se confrontiamo queste diverse scritture osserviamo allora che Farias parla di « fare » e di « fare finta » (« fascevanos fitta chi eramos il gado, touro, vitello » ; « fascendo la vaca »), mentre nel libro s’impone l’identificazione della narratrice con la vacca (« io ero la vacca »), attraverso la ripetizione di una formula che assimila il soggetto all’animale. Un aspetto importante della riscrittura di Iannelli è la costruzione di un bestiario, proprio a partire dalle sollecitazioni offerte dalla scrittura di Farias che si caratterizza per le numerose immagini d’animali. La lingua del manoscritto è infatti una lingua di origine contadina, in seguito arricchita dal gergo del mondo dell’omosessualità e della transessualità in cui le metafore di origine animale sono numerose. De André metterà in evidenza queste prime immagini animali, trasformandole in metafore e consacrando loro l’ouverture della canzone. Il diverso trattamento del gioco fra bambini in questi primi brani permette di iniziare ad osservare le diverse modalità di scrittura degli autori: la rilettura intimista e morale sul proprio passato di Farias, l’affermarsi della violenza e della costruzione narrativa in Iannelli, l’elaborazione di un linguaggio simbolico in De André. 

 

Dopo i giochi, Farias racconta i primi incontri e le prime relazioni sessuali avute da bambino. Nel manoscritto queste descrizioni si susseguono semplicemente, mentre nel libro sono introdotte dall’insulto « veado » e dalle espressioni « Veado – parola al vetriolo, intuivo l’offesa »[16] e « Veado. Di nuovo quella parola velenosa come il coral, la serpe del deserto »[17] che ritornano da una pagina all’altra: Iannelli introduce così un’anafora che annuncia la natura e il contesto di questi primi incontri. Attraverso questo procedimento stilistico, Iannelli sembra costruire una voce popolare che assiste ai primi gesti di Fernando bambino e li condanna, una voce corale della diffamazione che il manoscritto invece descrive una sola volta: « Cominzava sempre andar ensieme io la defamazione era per tutti, solamamma che era inoscente »[18].

Farias descrive con sobrietà la prima manifestazione del desiderio di vedere gli uomini nudi: un giorno, approfittando dell’assenza della madre, Fernando riesce a convincere un uomo adulto a rendersi a casa sua:

Voilevo niente, bevere neanche mangiare, voilevo que quelli uomo ficasse desnudo nella stanza, bò lui era entrato in camera dovi dormivo con mamma, ho chiuso tutto, porta, finestra pure un cane che avevamo era rimasto chiuso io quando ho visto i memmbro di quelli uomo cominziato da piangeri ho ditto: non ! Lui: non tentari scapar adeso chi voglie sono io. Con una mano mi ameso una maglieta sua nella mia bocca. Comunque razonava bene, visto che ero vergine ancora, non entrava, min ameso solo in bocca, masturbava, si adoso di mie spalla. Poi si ne andato, due volta mia zia è venuta da controllarmi ho discevo : stou dormindo zia.[19]

La scrittura di Farias è precisa: descrive i fatti, le azioni e le emozioni, senza aggiungere dettagli e senza creare effetti di stile attraverso ripetizioni anaforiche. Iannelli riscrive in modo molto diverso questo brano sul primo incontro d’amore di Fernando: 

Spogliati nudo Fernandinho! No, Arlindo, voglio solo vedere il tuo cazzo! Si alzò, perse e ritrovò l’equilibrio. Oscillando, si aprì i pantaloni e lo tirò fuori, eretto e grande. L’impugnò, il ramo duro. Sudava, strattonava come un cavallo al tiro. Sfigurò in volto dall’eccitazione. Io, terrorizzato. Avrei voluto cacciarlo via, l’animale. Provai a tirare fuori un grido, uscirono solo lacrime. Mi immobilizzò sul letto grande. Tra le sue ginocchia divenni più piccolo di un uccellino. Ebbe un po’ di sale in zucca, la bestia. Rinunciò, non spinse dentro. Non riesco a dimenticare : io che piango e lui che s’agita e s’affanna. Poi, sulle mie spalle, uno sputo caldo e appiccicoso. Ha finito, io atterrito. Bestiolina impaurita. Zia Maria bussò forte alla porta, lui scappò dalla finestra.[20]

Iannelli rende la scrittura espressiva e drammatica: crea dei dialoghi fra i personaggi che caratterizza con i rispettivi nomi – Fernandihno e Arlindo – e con similitudini e metafore del mondo animale: « cavallo », « animale », « bestia » per Arlindo e i diminuitivi « uccellino » e « bestiolina » per Fernandihno, mettendo così in evidenza la differenza d’età e soprattutto la violenza di questo incontro. Per la descrizione dell’atto sessuale, Farias fa una semplice allusione a « i memmbro di quelli uomo », mentre la scrittura di Iannelli nomina il membro come « cazzo » e ne precisa la natura con aggettivi e metafore: « lo tirò fuori, eretto e grande. L’impugnò, il ramo duro». E ancora: Farias descrive esplicitamente l’atto sessuale (« min ameso solo in bocca, masturbava, si adoso di mie spalla »), mentre Iannelli, senza utilizzare la parola masturbazione, descrive con enfasi e metafore le emozioni dei due protagonisti, entrando nei dettagli: l’eccitazione di Arlindo, paragonata a un cavallo da tiro -« Sudava, strattonava come un cavallo al tiro » – e la paura di Fernandihno che è come un uccellino impaurito: « Tra le sue ginocchia divenni più piccolo di un uccellino ». Per rendere la descrizione più cruda, Iannelli precisa la natura delle secrezioni sessuali dell’uomo che sono come « uno sputo caldo e appiccicoso» sulle spalle di Fernando. La scrittura di Iannelli investe d’immagini, di dialoghi, di azioni e di emozioni la scrittura di Farias. La scrittura intimista del manoscritto diventa una scrittura più narrativa, diretta e dinamica e il testo cambia così di natura, di genere e di significato. 

Immediatamente dopo il racconto dei primi incontri, entrambi i testi raccontano il primo rapporto sessuale vero e proprio di Fernando. Il manoscritto caratterizza già esattamente il contesto di questo incontro lungo un fiume in piena che diventa come un lago, a causa della pioggia: 

Gia avevo 8 anni, vizino a casa tcher un fiume, quando pioveva rimaneva per mezi il mezi con accua, li in mezzo di noi tchera un ragazzo di 16 anni. Un certo giorno piovutto troppo, sono andato da vedere il fiume, ho visto lui chi li stava da pescare da solo, questi mi parlato : stai attento, che tche una profundità questi fiumi. (…) Mentre parlavamo ho visto che si atirizava suo caccio. Ho entrata nella accusenza vesti la accua, fino al metta del moi corpo, lui disceva : vieni fuori io sono mi avergognato di uscire desnutto, questi mi disceva : ma ti envergone di me ? È entrato pùre nella accua. Eco. Stato li la prima volta. Prima volta che ho conosciutto, sentiva il membro di un uomo penetrar dentro di me. Quando quelli ragazzo di 16 anni mi a prezo per spalla nella accua, li che ho person la viriginità. Poi sono venuta fuora della accua con il anus sangrando, ho rimasto li per una ora da piange, e mi arivato tutto, malli di panza, dolore di testa, pure la febbre doppo è mi arivata, lui era preucupato pure, mi aquesto: ma è la prima volta? Io: Sin. Perche min hai fatto chuisto? Lui: Mà a volute te non? Io: Sin però mi fasceva malle, pero min piaceva. La realtà. Min ditto, chuisti ragazzino, quando arive a casa parle che sei cascuto nun pesso di legno, ou una punta di una pietra.[21]

Questa volta, Farias nomina il sesso come « suo caccio », ma descrive in modo pudico il rapporto « mi aprezo per spalla nella accua, li che perso la virginità ». Poi descrive le conseguenze sul proprio corpo evocando l’« anus sangrando », l’ano sanguinante. Iannelli riscrive questo brano in una sequenza che occupa più di una pagina nel libro. Descrive lo spettacolo del fiume in piena, dà uno spessore di personaggio all’altro uomo, Paulo, mostrandolo perfino nel suo ambiente familiare e finisce con il descrivere gli effetti di questo incontro sessuale sullo stato d’animo del giovane Fernando:

Si avvicinò, sapevo cosa stava per accadere. Non scappai. Tirai fuori un po’ di voce, una vocina: Lasciami non voglio! Per me era ancora un gioco, io la vacca. Ma lui spinse forte e mi penetrò. Era la prima volta. Pancia e testa rivoltarono in supplizio. Lui indiavolò nel mio dolore. Brevissimamente, vidi l’acqua tingersi di rosso.[22]

Anche se questa volta la scrittura di Iannelli non nomina direttamente il sesso, come aveva fatto Farias, la descrizione è cruda a causa delle frasi brevi e incisive che sembrano mimare la violenza di questa penetrazione e grazie all’uso dell’espressione « indiavolare » costruita sull’immagine del diavolo e dell’immagine dell’acqua che si tinge di rosso per il sangue, assente nel manoscritto. Iannelli sviluppa e mette in scena l’idea del peccato sessuale e descrive lo sguardo sociale interiorizzato da Fernando: 

Sbiancai dalla paura. Vomitai e piansi per il male, per il rimorso. “Se fai le cose del diavolo andrai in carcere e all’inferno !”. La febbre salì improvvisa, s’impossessò di me. Tremavo di paura, di vergogna. Cosa mi hai fatto ! Anche Paulo divenne bianco in faccia. Ma tu volevi ! disse. Era vero, io volevo. Mi faceva male, ma lo desideravo. Semplice e inaccettabile, è questo il mio ricordo. È così che andarono le cose. Corse su e giù per il fiume in cerca d’erba, pinhão roxo, quella che ferma il sangue, lo coagula. Il cane gli girava sempre intorno, giocava, saltellava. Paulo provò ad asciugare le mie lacrime e a tamponare l’emorragia: Ma è la prima volta per davvero ? Sì. Perché non me l’hai detto? Fernandinho, non devi dirlo a casa! Dì che sei caduto su una pietra appuntita, su un ramo. Dì quello che vuoi, ma non dirlo! Avevo otto anni, lui sedici.[23]

Preannunciata dal verbo « indiavolare », la prima immagine del diavolo appare direttamente nel libro in relazione a quella del « carcere » e dell’« inferno »: questo intreccio simbolico sarà ripreso e poi sviluppato alla fine del libro. Si intravede già una prefigurazione del destino di Fernanda. La lettura morale che Iannelli impone a questo avvenimento è sicuramente suggerita dal manoscritto, tuttavia essa non è presente in questo brano del testo di Farias, dove il male corrisponde piuttosto al dolore fisico. Nello sviluppo della sequenza, Iannelli immagina uno scambio drammatico tra Fernando e la famiglia che non crede alle sue parole, anche se accetta di portarlo da un medico, mentre nel manoscritto Fernando è solo con la madre. La scrittura di Iannelli investe questo avvenimento di una connotazione drammatica e moralizzatrice che non appartiene alla stessa porzione narrativa dei quaderni di Farias. Mentre Iannelli insiste sul peccato morale percepito da Fernando e dal suo ambiente, nel manoscritto dopo questa prima relazione omosessuale, il narratore racconta con una certa disinvoltura di aver assunto la sua « cariera del pecatto »: 

Ormai gia era disfondatto. Non avevo nientti di virgini, di novo doppo due mesi ho cercato lui il primo strupador. Chuilo non min fatto cambiarre min fatto piascere di quelli giorno ho cominziato veramente la cariera del pecatto.[24]

Questo esempio mostra bene come la scrittura di Iannelli drammatizzi, apportando una tonalità morale, ciò che Farias aveva descritto in modo più intimo, oggettivo e anche ironico. 

 

Questo excursus attraverso i giochi d’infanzia e i primi rapporti sessuali di Fernando ci ha permesso di scoprire le prime differenze fra le diverse redazioni. Ritorniamo ora ai travestimenti, tematica centrale di questi testi. Tutta l’infanzia di Fernando è caratterizzata da numerosi travestimenti: si tratta di percorso iniziatico che porterà alla decisione d’intervenire più radicalmente sul proprio corpo attraverso gli ormoni e diventare transgender, una volta adulta. Abbiamo analizzato il primo travestimento del manoscritto con la tovaglia in testa per simulare i capelli, ma il primo travestimento dei quaderni ripreso anche nel libro è però un altro che si situa immediatamente dopo la descrizione del gioco della vacca, nello stesso paragrafo del 26 marzo 1992 intitolato « Il racconti della infanzia de anni 7 fine del anni 13. Il giochi»[25]. Farias descrive Fernando bambino che usa delle noci di cocco per simulare il seno e che per questo gesto viene violentemente ripreso dalla madre: 

Mia madre mi amenada perche mi e trova con una parte del coco (cocco) alcada (attacada) al petto per dire chi era il petto ; Eco cosi io partecipava dei giochi feminille, disciamo, io voilevo sempre fare la parte femminina anzi[26] si stavamos in mezo dei bambina.[27]

Nella riscrittura di Iannelli, il testo si trasforma così: 

Due mezze noci di cocco furono il mio primo seno. Davanti allo specchio grande, Cícera mi sorprese e botte. Mi coprivo con la mano per vedermi come Aparecida anche tra le gambe. La mia fantasia, pancia tonda e fessura di bambina.[28]

Il libro riprende l’immagine delle noci di cocco usate per simulare il seno che da « petto », con una connotazione più anatomica, diventa « seno », parola più letteraria e connotata; e riprende il racconto della reazione violenta della madre passando dal verbo « mi amenada » alla nominalizzazione con il sostantivo « botte ». Il personaggio della madre, mai nominato con il proprio nome nel manoscritto (se non in un foglio annesso ai quaderni Una picolla biografia che disegna un albero genealogico della famiglia, visibile nell’archivio del sito), diventa « Cícera », in uno sforzo di distanziazione e di caratterizzazione dei personaggi, proprio di una narrazione di registro narrativo e romanzesco. Iannelli introduce poi la parola chiave del manoscritto fantasia (immaginazione/travestimento), -che tuttavia non era stata usata da Farias in questo brano dei suoi quaderni-, in un punto in cui il termine possiede l’ambiguità semantica propria del portoghese[29]. Nella riscrittura di questo brano Iannelli introduce anche l’immagine dello specchio e l’allusione al sesso femminile attraverso la metafora « fessura ». 

Con il procedere della narrazione Fernando diventa più audace nei travestimenti e un giorno si reca a scuola con lo smalto e le scarpe della madre: 

Un giorno ho asfregato un smalte per pintare le ungie di colore della pelle però si vedeva sterso, una scarpi di dona ascosto di mamma, sono andatto al scuola : che inferno ! Doppo chuel giorno tutti in quanto si metteva da ride, uno si alsado : Prefessore viena a vedere che tcher di novo a scola. 

 

Sono mi vergognato, cominziato da piangere, la professora: Fernandinho, ma quisto è cosa di dona con le ungie pintata, il scarpi di dona ma sua madre non avisto? Io: non! Lei: Non tcher nienti di male. Va bene però non poi vestirti come femea, si vieni il diretor della scuolla min chiama atnsione. Cheli giorno ho litigato con tutti. Sono arivado a casa la mamma gia sapeva, min fatto tagliare capelli a zero, di questa volta min almenato mio fratello. In più mia madre min aminaziatto di mettermi da un posto di punisione di minorino che si chiama Feben.[30]

Iannelli riprende questo brano dei quaderni e lo riscrive nel modo seguente: 

Che begli zoccoli, mamma! Me li posso mettere? Ma sono da donna Fernandinho! Ma sono belli mamma! La spuntai: Va bene, solo dentro casa, altrimenti ti dicono cose brutte! Cícera se ne andò nei campi, io a scuola. Prima però presi il suo smalto rosa brillante e mi pitturai le unghie dei piedi. Infilai gli zoccoli e mi avviai per la stradina bianca che si attorcigliava verso il paese. Arrivai presto e nascosi i piedi sotto il banco. Maria da Guia, tredici anni di malignità e vista d’avvoltoio, non si fece sfuggire la novità: Maestra! Venga a vedere i piedi di Fernandinho! Venga a vedere, c’è l’uomodonna! Maria Nazareth Monteiro non era Izael Diaz. In classe mi difendeva. Vide smalto e zoccoli, mi accarezzò i capelli. Zittì la derisione. Poi mi parlò da sola: Fernandihno, ma queste sono cose da donna, unghie pittate, zoccoli. Tua madre ti ha visto uscire vestito così? No, non mi ha visto. 

Cícera mi rase i capelli a zero. Tirò fuori il marmeleiro, minacciò di mandarmi al Febem, il collegio minorile. Un correzionale. 

Quel giorno fu un inferno, litigai con tutti. Finita la lezione, lungo la strada, Genir e altri due mi aggredirono lanciandomi delle pietre: Uomodonna! Veado! Rispondevo: Veado sei tu, Genir! Mio padre ti picchierà Fernandinho! Allora mio cognato ucciderà tuo padre! Mi assalirono in tre e mi picchiarono a sangue.[31]

Alcune frasi sono riprese in modo identico, come una parte del dialogo tra la maestra e Fernando, dove Iannelli si limita a ritrascrivere l’interlingua di Farias in italiano e a sostituire il termine « scarpi » con « zoccoli ». Lo smalto « di colore della pelle» diventa però « rosa brillante »: questo dettaglio è rappresentativo dell’intensificazione alla quale Iannelli sottomette la scrittura di Farias. Si osserva infatti come nella riscrittura Iannelli metta in evidenza gli eventi, fin nei dettagli. Le « scarpi da dona » danno luogo a un dialogo animato tra la madre e il figlio di cui non si trova alcuna traccia nel manoscritto che racconta piuttosto come Fernando realizzi questo travestimento in segreto. Iannelli aggiunge dei particolari per precisare l’effetto reale del racconto: descrive il tragitto che porta a scuola; il primo gesto di Fernando che, una volta arrivato a scuola, nasconde i piedi sotto il tavolo; aggiunge i nomi e i cognomi dei compagni di classe, Maria da Guia et Izael Diaz, che denunciano Fernando alla maestra e precisa anche il nome di quest’ultima Maria Nazareth Monteiro, che difende il bambino. 

Nel testo di Iannelli compare anche il tema dell’ermafrodismo, « l’uomodonna », come l’insulto rivolto a Fernando. Questa tematica non esiste nei quaderni dove le allusioni e le ingiurie sono piuttosto a carattere omosessuale. È interessante osservare che Iannelli introduce uno xenismo brasiliano, « marmeleiro », assente nel testo originale, per indicare il ramo che la madre usa per picchiare il figlio (mentre nel manoscritto è il fratello a picchiarlo). Possiamo ricondurre l’uso di questo termine alla volontà di contestualizzare il racconto. Sia Farias che Iannelli usano molti xenismi, ma non gli stessi, e con finalità diverse: Iannelli li usa come esotismi per contestualizzare la parte del racconto che si svolge in Brasile, e infatti ricorre a un glossario alla fine del libro, mentre per Farias gli xenismi hanno un carattere di necessità e costituiscono un tratto della sua interlingua. 

Il libro di Iannelli riprende molti dei travestimenti descritti nei quaderni: quelli per attirare i contadini e i cacciatori nei boschi, quelli del Carnevale, i travestimenti notturni a Campina Grande quando Fernanda è studentessa, quelli in occasione della frequentazione dei club di omosessuali a Recife. Il Carnevale assume un’importanza centrale sia nel manoscritto che nel libro: è la festa brasiliana per eccellenza e per Fernanda costituisce soprattutto l’occasione per affermare il proprio desiderio di cambiamento:

In paese, una cità di 8.000 persona non mine andavo mai per le festa come : Natale, capodano, laùunica che partecipava era solo la fesza di carnavalle perche non min bastava da veder il carnavalle del Rio e San paolo per tellevisione. Pùre molto lontano dove abitavamo. Poi passava la semana carnavalessa e io continuavo con il truco il le fantasias che voilevo sempre. Il sogno che voilevo io di esere un (travesti) transessuale.[32]

Si osserva qui il legame che Farias stabilisce tra il Carnevale, il travestimento e la possibilità di diventare transgender. In questo brano usa il termine « le fantasias » nel significato di travestimenti. Ma il margine di ambiguità resta vivo tra i due significati di questa parola che consente il passaggio dal travestimento all’immaginazione e al sogno di una nuova identità, infatti immediatamente dopo Farias descrive il sogno di diventare transgender. Lungi dal focalizzare l’attenzione sulla polisemia di travestimento/sogno, Iannelli evoca il Carnevale con la rappresentazione del rito del travestimento di Fernando, evocato gesto per gesto, per passare poi alla descrizione dell’ambiente di festa: 

Ero libero, era il carnevale. Niente insulti, nessuno sguardo storto. Avevo dieci anni e Cícera mi lasciò fare. Raccolsi i miei capelli dentro a un fazzoletto verde e azzurro che annodai sulla fronte. Infilai una veste lunga di cotonina bianca. Mi dipinsi gli occhi, spalmai le labbra di rossetto e calzai le scarpe alte di mia madre. Finalmente ! Il Sítio organizzava il suo corteo. Irriconoscibili i maschi si nascondevano dietro spaventose maschere di toro, capra e montone. Maschere di legno e di cartone. Altri uomini travestivano da donna. Avevano grandi pance, come Adelaide prima del parto. Le donne libere si vestivano da puttane. Provocavano, perché senza il bordello non c’è nemmeno il carnevale, si diceva. Tutto si legava al ritmo lento e antico dei tamburi. Pentole in metallo e secchi preparati per l’evento. Al Sítio non avevamo orchestra o banda con strumenti musicali, solo percussioni. Il tam tam era assordante. La polvere impastava sudore e ritmo lungo la stradina per Remigio. La banda musicale ci aspettava nella piazza del paese per rilanciare in frevo, balli e canti.[33]

Iannelli dà una rappresentazione quasi etnografica del Carnevale che non si ritrova nel manoscritto: per Farias non è necessaria poiché il Carnevale fa parte integrante della sua vita. L’evocazione del Carnevale del libro non è quindi fondata sulla scrittura dei quaderni, ma piuttosto su una ricerca personale del secondo autore e su un’intervista a Farias che Iannelli realizzò in prigione e la cui trascrizione a cura di Iannelli stesso è inserita fra i materiali d’archivio del sito. È verosimile che Iannelli dovette interrogare più volte Farias sul Carnevale, come emerge da qualche lettera di quest’ultima e da una cartolina che gli aveva inviato dal Brasile per mostrargli con un’immagine ciò che gli aveva raccontato in prigione, in particolare riguardo al frevo, un genere musicale e una danza del Carnevale del Nord-Est.

Che sia attraverso un evento straordinario come il Carnevale, o più quotidiano legato alla propria esuberanza, il travestimento permette al personaggio di Fernanda d’affermare pubblicamente la volontà di essere donna, rappresenta la necessità di mostrare la propria femminilità, di truccarsi, di nascondere il proprio sesso e di immaginare la fessura femminile, oltrepassando così la frontiera del sesso.  Questa dimensione è molto viva sia nel manoscritto che nel libro, con le differenze che abbiamo osservato. 

 

Il percorso di Fernanda verso la femminilità è anche un percorso geografico di superamento delle frontiere: dalle campagne del Nord-Est, alle città brasiliane, fino al cuore delle metropoli e poi verso le capitali della prostituzione transgender in Europa. Il percorso è descritto nei quaderni e viene ripreso nel libro tappa dopo tappa, tuttavia è Iannelli a evidenziare il legame tra la metamorfosi sessuale del personaggio e la dimensione del viaggio, come se si trattasse di due aspetti di una stessa riflessione sull’identità. Nel libro in occasione della partenza da Campina Grande verso Recife, prima destinazione del percorso di emancipazione della protagonista, viene introdotta la descrizione di un dissidio identitario che si rivela per la prima volta quando Fernando si mette a raccontare la sua vita a un taxista: 

Un palcoscenico. Fernanda, la mia nuova libertà, come una prima attrice occupa la scena. […] Vuota il sacco, piange, racconta tutto. […] Tredici anni e io la vacca, nella campagna, nel bosco. […] Io sono lì, scisso, inoffensivo, mentre Fernanda scintilla e si racconta, puttana e studentessa. (…) La guardo, mi guardo. […] Fernando, sono spettatore di me stessa. Fernanda mi sorprende, inaspettata, liberata. Mossette, mossettine. Abita il mio corpo, inghiotte la mia coda, la biscia. Eccomi qui, maschioefemmina con un José-con-me e la voglia che ci riempie mentre viaggiamo un lungomare sconosciuto che allontana la città.[34]

Questo dissidio non è presente nei quaderni e il breve passo dal quale Iannelli ha creato la sua versione lo mostra bene: 

Ho cominziato ad piangge, in pocchi parolle li ho parlato tutto. Queste uomo mi adito: Ma perche non ritrne a casa? Ho risposto: Non, perche la situazione è cosi, cosi.[35]

Nella riscrittura del libro, il narratore si manifesta in prima persona come doppio « maschioefemmina » ma quando in questa prima tappa di emancipazione si parla esplicitamente di Fernanda o Fernando, l’istanza narrativa scivola alla terza persona. Fernanda e Fernando fanno parte di un soggetto che va al di là di loro stessi, composto dalla parte maschile e femminile al tempo stesso. Fernanda si afferma quindi alla terza persona, come un soggetto femminile che abita, come uno straniero, il corpo dell’istanza narrativa. Fernanda inghiotte dall’interno il sesso maschile, e Fernando sembra diventare lo spettatore di se stesso, dell’altra parte di sé. Fernando come Fernanda non costituiscono però il soggetto, quell’io che è altro. Rispetto all’esuberanza di Fernanda, « scintilla, si racconta, puttana e studentessa », il soggetto è « scisso, inoffensivo », come se in questo passaggio Fernanda non fosse la vera identità dell’io che non si risolve nella dimensione femminile: « la guardo, mi guardo ». L’io si afferma in questa estraneità e s’impone come soggetto o nel passato attraverso i ricordi dell’infanzia (« io ero la vacca »), o nel presente attraverso la duplicità sessuale (« maschioefemminia »), o ancora attraverso la dimensione della lacerazione (« scisso »). Risulta evidente la relazione tra il passaggio dell’io alla terza persona e il passaggio da una narrazione più propriamente autobiografica del manoscritto al racconto biografico e più romanzesco del libro. 

Se Campina Grande, prima tappa di questo viaggio geografico e interiore, rappresenta un luogo di libertà e di travestimenti, Recife rappresenta una tappa ulteriore, quella della prostituzione necessaria per pagare gli ormoni e le operazioni e per affermare con più decisione il cambiamento di sesso. A Recife Fernanda soggiorna nella pensione di Mariluci dove lavora, senza poter però guadagnare abbastanza per vivere. La notte frequenta discoteche per travestiti e omosessuali, ed è lì che comincia a prendere gli ormoni. Nella trascrizione dei quaderni la descrizione della presa di ormoni è molto rapida e sommaria: 

Del ormonio feminile già ho prendevo, ma prendevo sempre dozagio sbagliata, mi invergonav di cheder come devevo prende. Poi in quelli ambiente chi stavo non potevo più fare chuilo chi desideravo di esere, quili chi voilevo. […]  Mà come fascevo io da andar avante lavorando in quella pensione dal centro da cità di Recife lavorando giorno e notte, senza guadanar nezuno soldie.[36]

La descrizione della trasformazione di genere diventa invece una sequenza narrativa centrale nel libro, come lo mostrano le due citazioni seguenti: 

Anaclin, ventotto pasticche a confezione. Non so aspettare et le bevo tutte insieme frammiste a un frullato di carote. Dentro il letto, occhi al soffitto, aspetto che ad albeggiare siano due seni di magia. Aspetto, come aspettavo l’aereo di mezzanotte. […]  Vomitai una macchia rossa, mi contorsi dal dolore. Fernando mi resisteva, si rivoltava. Durezza del suo corpo. Petto liscio e natiche quadrate. Un uomo. […]  Io ti piegherò, Fernando. I miei José non baceranno un maschio. Venne l’alba e tornò sera.[37](…)

Anaciclin, sempre quattro pasticche al giorno. Fernando si consuma lentamente. Il pene rimpicciolisce, i testicoli si ritirano. I peli diradano, i fianchi si allargano. Fernanda cresce. Pezzo dopo pezzo, gesto su gesto, io dal cielo scendo in terra, un diavolo – uno specchio. Il mio viaggio.[38]

Il libro descrive le reazioni fisiche ed emotive di Fernanda rispetto alla presa di ormoni: il cambiamento del corpo fin nei dettagli più intimi – « pene », « testicoli », « peli », « fianchi »-, e il dissidio che provoca raccontato come una guerra contro la parte maschile. In questo contrasto tra la propria natura femminile e maschile, il soggetto passa dalla prima alla terza persona, riprendendo proprio quello sdoppiamento identitario che era emerso per la prima volta durante la fuga da Campina. Mentre il corpo, sia esso maschile, femminile o in trasformazione, è descritto con una certa distanza, l’io emerge in tutta la sua sofferenza e nella lotta che ha ingaggiato. Iannelli descrive questa trasformazione finale in donna attraverso le metafore della caduta, « dal cielo … in terra », del « diavolo », dello « specchio» e del « viaggio». La comparsa di Fernanda viene identificata con quella del diavolo, figura fondamentale della cultura del Nord-Est del Brasile che Iannelli aveva tratto – come racconta nell’intervista ad Alessandro Portelli – dalla lettura dello scrittore brasiliano João Guimarães Rosa:

Il diavolo, io non capivo la sua importanza. Era presente pervasivamente in ogni pagina scritta da Fernanda. Poi sono andato a leggere subito, d’un fiato, Guimarães Rosa e scoprii che il diavolo è una figura fondamentale della cultura nordestina.[39]

In questa intervista Iannelli afferma che il diavolo sarebbe presente in ogni pagina della scrittura di Farias, ma in realtà questa figura non vi appare come tale, anche se, come abbiamo mostrato, il manoscritto è attraversato da una lettura e una riflessione moralizzatrice. Il tema del patto con il diavolo invece ha un ruolo primordiale nel Grande Sertão: Veredas di Guimarães Rosa. In questo romanzo che descrive la cultura del Nord-Est, la figura del diavolo appare sotto novantadue nomi diversi: è un mito che nasce dall’intersezione tra la tradizione popolare e la tradizione colta e che costituisce lo sfondo delle avventure del personaggio narratore Riobaldo[40]. Attraverso questo lavoro intertestuale, nella sua riscrittura Iannelli ancora una volta trascende il testo di Farias facendo prendere corpo ai diversi personaggi e creando un bestiario di figure e di mostri che danno una connotazione diabolica a questo cambiamento transgenere.

L’immagine dello specchio sembra suggerire che il cambiamento identitario permette di vedere e di diventare l’altra parte di sé, che Fernanda vedeva nello specchio in occasione dei travestimenti da bambina. Lo specchio diventa il simbolo dell’immaginario, della possibilità di realizzare la sua fantasia. Associata però all’immagine della caduta e del diavolo questa trasformazione si presenta come il superamento di un limite proibito, e quindi un’azione immorale e colpevole. Infine per evocare questa metamorfosi della trasformazione ormonale, il libro usa la metafora del viaggio. Ritorneremo su questa immagine. 

I quaderni di Farias invece non si soffermano su questi aspetti, non descrivono l’alternanza, il dissidio, il conflitto tra Fernando e Fernanda, ma raccontano piuttosto le difficoltà materiali della vita di Fernanda. La presa di ormoni è descritta in un solo brano, citato prima, senza che gli ormoni siano identificati con il loro nome. Nei quaderni non troviamo alcuna traccia del dissidio identitario quale appare nel libro: il soggetto autobiografico è in prima persona, dall’inizio alla fine della narrazione. Tuttavia questo soggetto si definisce al maschile nella prima parte sull’infanzia e sempre più al femminile dal momento in cui Fernanda si avvia verso la prostituzione. Uno dei rari brani in cui Farias parla di se stessa in terza persona è quando prende la decisione di diventare una prostituta: 

Mi guradavo da vanti al specchio, min sentivo con un nautro fisico. Fatto una notte di lavoro di massiapedi. Me trovato bene. Guardanato soldie quasi la mettà del stipendio chi guardanavo al mezi. Poi ho scritto di no(vo) a casa. Fascevo il lavoro, anche desidito da fare la putana. Ormai già stavo preparado(a). Ho prezzo la dezizione di fare la Fernada da vero. Notte il giorno. Come una putta.[41]

La decisione di trasformarsi, di « fare la Fernada (sic) », di diventare una donna, di costruire il soggetto femminile è espressa attraverso questa distanziazione alla terza persona, la decisione di diventare una prostituta assume questa funzione di passaggio da un genere all’altro. La metamorfosi transgenere si sovrappone alla prostituzione, forse anche per il fatto che la prostituzione era all’epoca una delle rare modalità di esistenza pubblica del soggetto transgender. I quaderni di Farias sottolineano però la differenza tra queste due dimensioni della sua vita, in quanto la prostituzione era una necessità materiale: 

Una certa notte mi trucato bene, cominziato da andar al centro di quella cità: Recife. Ho visto una certa ragazza però un po strana come dona. Quella subito quando mi visto avizinata da me e mi aquesto: Cosa fai qual, (viado) froscio? Ho risposto: La stersa cosa chi fai te. Quella aprezzo una lametta e mi ditto: Ti darei due minutti per andar via di qual. Ho fatto 3 passe, ho prezzo una botiglia, poi sono avizinata, ho parlato. […] Poi ho spligato mio problema. Dopo era avizinato unautro transs che già mi conoscevo del una naite clube, e dito per lasciare perde. Dopo di li quelli transessual che era arrivado dopo, chi già mi conosceva, mi è portado da una via dovi si trovava una 20 di transs. Una via longo mar a recife. Era la prima notte di lavoro. Manco sapevo chi cosa fare. Tantti maquina girando avanti i indietro. Io manco mi ricordavo della pensione che alle 5 di matina devevo lavorar. Me sentivo uniliado, tutti le altri transse, con un alinamento più femine de me. Ma le clienti firmavano sterso. Già avevo fatto 4 clienti. Il primo era un signor di 35 anni e fermato la maquina, io contanta vergogna non li ho questo nienti. Comunque lui mi pagato. Io non voilevo recever. Ma come fai per viver si non ti pagano, no?[42]

Farias racconta in modo particolareggiato questa prima notte di prostituzione che definisce come « la prima notte di lavoro »: descrive le violenze nei rapporti fra i transgender, il sentimento d’umiliazione provato di fronte alla bellezza delle altre, le emozioni di fronte ai primi clienti che le si avvicinano, la sensazione di vergogna.  Nella trascrizione dei quaderni Iannelli evidenzia questo brano con tre asterischi, poi lo riscrive così: 

Io faccio la puttana, ecco il punto. Batto il marciapiede con altre venti, trenta transessuali. Sono desiderata. Mi esibisco al femminile, Fernanda ed è spettacolo. 

Era la prima volta, il mio sguardo basso, intimidito. Ma dentro indemoniavo. Voglio i miei seni, voglio un culo grande da farmelo leccare da questi José che di giorno non mi sanno amare.[43]

Iannelli realizza una messa in scena della scrittura più intimista di Farias. Se in occasione della prima affermazione di Fernanda durante la fuga da Campina Gande aveva parlato di « palcoscenico », ora, a proposito della decisione di prostituirsi parla di « spettacolo ». Nel libro la metamorfosi transgenere e la prostituzione sono due dimensioni che si sovrappongono in modo più forte che nel manoscritto e la categoria della teatralità permette di stabilire questa relazione: la prostituzione sembra costituire il punto di congiunzione tra il maschile e il femminile, perché lo spazio della prostituzione diventa lo spazio di esposizione pubblica al femminile, « Fernanda ed è spettacolo ». Iannelli pone l’accento sull’affermarsi dell’identità femminile attraverso il fatto di esporsi, mostrarsi, rivelarsi agli altri e quindi scoprirsi. La scrittura di Iannelli espone e mostra, pur essendo più sintetica. Una dimensione pornografica, nel senso etimologico di racconto della prostituzione, si sovrappone così alla scrittura di Farias. Questa caratterizzazione è totalmente assente dal manoscritto. Per esempio quando Farias scrive: « Me sentivo uniliado, tutti le altri transse, con un alinamento più femine de me », Iannelli trasforma questa dichiarazione pudica e discreta in un’affermazione ben più esplicita che  si riferisce direttamente alle parti sessuate del corpo: « voglio i miei seni, voglio un culo grande da farmelo leccare da questi José che di giorno non sanno amare ». Anche De André nella sua riscrittura riprende e accentua questi aspetti pornografici nella rappresentazione di Fernanda come transgenere e prostituta e nella descrizione del corpo sessuato. 

Iannelli mette quindi in scena un’immagine teatrale e provocatrice della transessualità che è probabilmente dovuta a un’osservazione diretta dei transgender detenuti nella prigione di Rebibbia agli inizi degli anni ’90 del Novecento. Porpora Marcasciano, sociologa e attivista transgender, spiega il desiderio dei transgender di mostrare le caratteristiche estreme dell’essere donna in base alla volontà di disfarsi del maschile e di essere riconosciute: 

Bisognava decostruire la parte maschile e sulle macerie di quella ricostruire non il proprio essere donna, come molti pensavano, ma l’essere trans. Due esperienze diverse unite da una femminilità intesa come opposto della mascolinità, ma con un proprio percorso e un proprio vissuto. Con i loro tacchi a spillo, con la loro esagerata femminilità le trans si presentavano al mondo: così è se vi pare! Se fossero entrate in scarpe da ginnastica, con i camicioni o le lunghe gonne fiorate delle compagne femministe di loro non si sarebbe accorto nessuno… neppure le stesse femministe. Il bisogno di essere riconosciute in un mondo in cui si è sconosciute, ricalcando tratti per gli altri considerati caricaturali: dopo una negazione secolare le transessuali entravano in scena ornate di tutti quegli elementi caratteristici della propria esperienza, tratti vistosamente esagerati perché legati alla nascita di un nuovo percorso. E come sempre accade quella nascita diventa rito, cerimonia festa e quindi segno accentuato della propria identità. In quei favolosi anni Sessanta si è voluto festeggiare, e lo si è fatto alla grande, con i costumi più belli e con il delirio della festa. 

È assurdo che in quella straordinaria esperienza si sia visto o si sia voluto vedere solamente l’imitazione di modelli femminili non la demolizione di quelli maschili. Un tacco a spillo indossato da una persona considerata uomo ha un significato molto diverso rispetto a quello indossato da una donna, cambia completamente la costruzione di senso.[44]

Nella sua scrittura Farias invece non insiste su questi segni esteriori dell’essere donna, quali emergono nella scrittura di Iannelli. Eppure nel suo saggio Marcasciano afferma anche una visione libera della prostituzione come di « un mondo che attraversa il mondo »[45], senza valutazioni di ordine morale, che corrisponde più alla scrittura di Farias che a quella di Iannelli. 

 

Allo stesso modo, gli interventi chirurgici sono raccontati in modo molto diverso nei due testi. Farias racconta due volte queste operazioni in modo estremamente sintetico: 

La novembre de anno di 1985 fatto la prima aplicazione del silicone al fianche. Dopo, al dezembre fato la cirurgia del protesi al petto. Li statto la 2° fase bruta della mia vitta. Il dotoure mi datto 20 giorni di riposso [46]

(…)

Genaio di 1986 stavo a Rio de Janeiro. (…) fatto dinovo unautra aplicazione de silicone al fanchi, per meter aposto laltra protese era bisogno ancora altri sei mezi per la pelle avere resistenzia.[47]

Nel libro le operazioni sono raccontate a partire dalle indicazioni del racconto di Farias, ma vengono sviluppate su più pagine[48]: viene descritta la bombadeira Severina,  il dottor Vinicius, e soprattutto vengono descritte le reazioni di Fernanda rispetto al suo nuovo corpo: 

Novembre millenovecentottantacinque, Severina, nella sua casa, mi bomba i fianchi con iniezioni di silicone liquido. Senza anestesia. 

Dicembre millenovecentottantacinque, il prof. Vinicius, nella sua clinica mi applica le protesi di silicone ai seni. Con anestesia. (…) eccomi qui che indosso fianchi esagerati, ampi, e lenti come le anse del San Francisco.[49]

Iannelli riprende le indicazioni sommarie dei quaderni, descrivendo alcuni elementi fattuali di cui non si ritrova traccia nei quaderni: il luogo delle operazioni, i nomi delle persone che le hanno compiute, i dialoghi fra loro e soprattutto i cambiamenti che hanno provocato sul corpo di Fernanda. Nei quaderni invece Farias affronta più sommariamente la descrizione delle operazioni con le due citazioni precedenti e infine con questa semplice frase: 

All 23 anni di mia ità avevo io risolto il mio problema fenòmico. [50]

Le pagine di Iannelli sviluppano quindi quest’ellissi narrativa del manoscritto raccontando in cosa sia consistito il « problema fenòmico ». Nei manoscritti quest’osservazione di Farias è seguita poi da un’annotazione interessante sui suoi sentimenti una volta raggiunta la nuova condizione:

Chi mi sentivo bene davanti le uomeni e de Dio di esere un transsessualle.[51]

Il modo in cui Iannelli riscrive queste emozioni è di nuovo significativo della differenza tra la sua scrittura e quella di Farias: 

Mi sentivo bene davanti a Dio e agli uomini. Nella testa e nello specchio: Fernanda e transessuale.[52]

Il narratore del libro sottolinea l’esteriozzazione del soggetto di nuovo attraverso l’immagine dello specchio, l’oggetto  che simbolizza il riflesso e la transizione identitaria. 

Nei quaderni, per i quali si suppone una scrittura più spontanea da parte di Farias, non troviamo altre tracce sulle operazioni chirurgiche. Su questo argomento Farias sembra rispondere piuttosto alle sollecitazioni di Iannelli alla fine del libro è infatti possibile leggere la trascrizione di una delle interviste realizzate da Iannelli nella prigione di Rebibbia. Una nota dell’autore descrive le condizioni in cui è stata realizzata, grazie all’intermediazione di Giovanni Tamponi che faceva transitare un quaderno giallo (conservato negli archivi di Sensibili alle foglie e riprodotto nell’archivio del sito) con le domande e le risposte da una cella all’altra della prigione[53]. In questa intervista Iannelli suscita la narrazione di Farias sulle applicazioni del silicone, le bombadeiras e Severina. La descrizione degli interventi e degli effetti di queste operazioni è infatti ben più dettagliata che nei quaderni, tuttavia Farias non utilizza le stesse parole, né le stesse immagini di Iannelli: 

Ci sono due tipi di applicazioni possibili. Il primo è con l’anestesia, il secondo a sangue freddo. Questo a sangue freddo è quello che preferisce fare il bombador o la bombadeira: la persona che fa l’applicazione. (…) L’applicazione senza anestesia è molto dolorosa. Ma c’è meno rischio perché se l’ago prende una vena o un vaso del polmone, si sente subito e arriva il dolore. Per me ci sono volute due ore e venti minuti per l’applicazione. Sembrava che stessi partorendo. Mi volevo alzare dal letto perché non riuscivo a sopportare tutto quel dolore, ma sapevo che era il dolore della bellezza e non mi mossi. Per tre volte ho fatto l’applicazione a sangue freddo.[54]

Farias, più che descrivere le trasformazioni del suo corpo, parla del dolore che ha provato e che associa al dolore del parto. Si osserva poi come in questa intervista, realizzata negli stessi anni in cui venivano scritti i quaderni, la lingua non sia la stessa del manoscritto, ma sia stata completamente normalizzata. 

La riscrittura del libro riguardo alla trasformazione transessuale è quindi significativa delle intenzioni diverse della scrittura di Iannelli rispetto a quella di Farias. Iannelli aggiunge molti elementi: parlando di sé l’istanza narrativa scivola di nuovo alla terza persona, rendendo Fernanda estranea a se stessa, mentre Farias non pone questa esteriorizzazione del soggetto trans rispetto all’io della scrittura, anzi evocando il dolore del parto approfondisce la consapevolezza di sé e del proprio diventare donna. 

Un altro brano del manoscritto è significativo della diversità della rappresentazione dell’identità transgenere tra la scrittura dei quaderni di Farias e quella del libro di Iannelli. Farias descrive il ritorno in Brasile dopo quattro anni trascorsi in Europa e il rientro a casa, nel suo villaggio, dopo otto anni d’assenza, e riporta un dialogo tra Fernanda e la madre, in cui Fernanda afferma il proprio modo di essere che la madre alla fine accetta: 

Mamma io sono suo figlio Fernando, il mio fisici è una fantasia, la mia mente è la stersa, forsa un po cambiata, ma la persona chi sono non interesa. […]  Nin aquesto si io ero felice di esere cosi. Si ero contento di esere cosi. Li ho dito che Sin. Min disceva, piangendo, alora anche io sono contenra di ti vedere cosi, perche sei felice.[55]

Farias descrive il suo corpo, « il mio fisici », come una « fantasia », con tutte le sue possibilità di trasformazione, mentre il suo spirito è rimasto lo stesso, è più stabile. Ma la questione identitaria (« la persona chi sono ») non deve influenzare il giudizio della madre, dice Fernanda, perché ciò che conta è la felicità che ha ottenuto. Questa descrizione contenuta e sobria di Farias è diversa da quella di Iannelli che preferisce drammatizzare questo racconto del rientro in Brasile, in particolare attraverso la reazione della madre che se la prende con Dio e con il diavolo e con il racconto della curiosità malsana della sorella[56].

 

L’insieme di queste sequenze narrative sui travestimenti, i primi incontri, le prime relazioni sessuali, la prostituzione e gli interventi chirurgici sono significative della differenza profonda che esiste tra i quaderni manoscritti e il libro riguardo alla rappresentazione del corpo e della soggettività transgender. Fernanda Farias de Albuquerque descrive con pudore e reticenza il proprio corpo, la propria sessualità e la metamorfosi transgender, costellando la narrazione di ellissi narrative, nella coscienza di un’unità del soggetto narrativo che aspira alla propria fantasia, come metamorfosi e sogno. Nei manoscritti si afferma l’importanza di questo io che si racconta sempre in prima persona e che rappresenta l’identità di un narratore che mentre racconta la propria vita costruisce un soggetto transgender scrivente. Questa coscienza dell’io comporta la rappresentazione di un soggetto che non si scinde e frantuma nella propria intimità: le difficoltà sono esteriori e restano fondamentalmente di ordine materiale; lo sguardo morale appartiene più alla società che al soggetto narratore. La scrittura del libro invece insiste per far scaturire un conflitto identitario che non è mai esplicitato in questi termini nel manoscritto. La riscrittura di Iannelli descrive l’intimità, getta uno sguardo che dice direttamente il corpo, sfiorando il voyerismo: svela, mette in scena, teatralizza, drammatizza la rappresentazione del corpo, dei travestimenti, della sessualità, della prostituzione e degli interventi chirurgici. Il romanzo sembra diventare uno specchio che svela l’altro e rappresenta l’io come un altro, fin nel suo dissidio interiore. Lo specchio svolge una funzione importante nel romanzo, sia in senso proprio che metaforico: è l’oggetto che rivela il soggetto a se stesso, sia all’inizio che nel seguito della narrazione, così come le immagini della scena e dello spettacolo lo rendono visibile agli altri. Lo specchio diventa anche la figura stessa del libro rispetto al manoscritto: la scrittura del romanzo come uno specchio riflette e rende manifesta quella del manoscritto, ma come uno specchio deformante si sovrappone a essa, cambiando la rappresentazione della soggettività transgender. In quanto scrittura dell’altro, la riscrittura di Iannelli rivela la dimensione del dissidio e della ferita identitaria che non sono raccontati direttamente nel manoscritto. Adriana Cavarero, riflettendo sull’origine dell’atto narrativo in relazione alla questione identitaria elabora degli strumenti ermeneutici utili anche per capire questi testi. La riflessione su una delle figure fondatrici della letteratura come quella di Ulisse permette di mostrare le relazioni tra i personaggi, l’identità e il racconto: 

Nessuno può appunto conoscere, padroneggiare o disporre della propria identità. Ognuno non può che esibirla, ossia esibire quell’unicità irrepetibile che egli è, in quanto tale appare agli altri nel contesto attuale del suo esibirsi. Il nostro Ulisse, che interagisce con i suoi pari sulla piana di Troia, non è perciò affatto un caso straordinario. Egli, come capita non solo agli eroi ma a tutti gli altri attori, non sa chi è perché in nessun modo potrebbe saperlo. Chi si rivela non sa mai chi rivela. Dato che nel carattere esibitivo di questo chi sta l’identità di ognuno, chil’agente rivela è, per definizione, ignoto all’agente stesso.[57]

Questa citazione di Cavarero ci porta ad affermare che se la rivelazione del conflitto identitario non appare nel manoscritto è perché Farias è l’agente che si rivela direttamente. L’immagine del « paradosso di Ulisse » elaborata da Cavarero per descrivere la situazione dell’eroe che ascolta la propria storia alla corte dei Feaci[58], permette di descrivere anche la situazione extra testuale delle relazioni tra Farias e Iannelli. Il libro diventa così un testo completamente diverso che veicola la rappresentazione di un soggetto transgenere visto dall’esterno e che ne mostra la ferita identitaria. Se il romanzo di Iannelli diventa lo spazio di una delle prime rappresentazioni di un soggetto trans, è anche lo spazio della sua repressione, perché ha ridotto al silenzio alcuni tratti caratteristici della sua autorappresentazione. A questo punto la questione che si pone è di sapere in che modo la soggettività di ogni autore si rifletta nella propria scrittura.

 

Queer zones: fantasias, violenza e scrittura dell’altro 

 

Queer zones: la sociologa e attivista transgender francese Marie-Helène Bourcier[59] ha introdotto questo concetto per affermare il superamento dei generi in quanto categorie culturali, in favore del concetto queer come spazio dinamico di trasformazione soggettiva e sociale. Prendiamo quindi in prestito questo termine per cercare di penetrare e descrivere, in ciascuno dei racconti di Princesa, delle zone di costruzione identitaria, a partire dall’ipotesi che siano fondate sulla proiezione di ciascun autore nella propria scrittura e sul travestimento di questa soggettività, operazione alla base dell’atto di scrittura. Per capire l’esemplarità del caso di Princesa, ci sembra importante riflettere sull’evoluzione della narrazione, del personaggio di Fernanda e sul finale di ciascun testo. 

Il manoscritto di Farias è ben più ampio del libro e costituito da diversi tipi di documenti, – quaderni, carte, disegni, cartoline, corrispondenza-, che abbiamo iniziato ad archiviare in questo sito[60]. I quaderni scritti in carcere si concludono con una sezione intitolata Eco il racconti de periodo più tragico della mia vita, scritta nel marzo del 1992 e dedicata alla descrizione dei due anni trascorsi nel carcere di Rebibbia: la vita quotidiana, le crisi d’astinenza dall’eroina, la scoperta della sieropositività, i processi, le vicissitudini quotidiane nel reparto trans del carcere. Tutte queste difficoltà avevano portato Farias al limite dell’esaurimento nervoso:

Ho cominziato da aver i nervi tropo agitati. Ho cominziato da prende il calmante il de sonifero ha punto che quando vieni una comizione in questi reparto, alla sezione del trasse, scapano perche pròpio la direzione del carecere lo sa chi schifo fa questa sezione. Il bruto comportamento dei persona, e una schifezza.[61]

La stessa Farias riconosce che il solo conforto in questa situazione carcerale era stato l’incontro con il detenuto Giovanni Tamponi descritto in queste pagine. Alla fine di questa parte, Farias descrive una giornata tipica in prigione e infine in modo inatteso, i quaderni si concludono con Il racconti dei sogno, una sezione di scrittura di tipo onirico datata del 17 aprile 1992 e dedicata ai sogni e agli incubi fatti durante il periodo d’incarcerazione. Iannelli non usa queste due parti finali dei quaderni che esclude completamente dalla narrazione del libro. La scrittura di Farias si contraddistingue per il carattere intimista con il quale descrive il passato, attraverso la rievocazione della propria vita sin dall’infanzia, ma anche il presente, attraverso queste due sezioni dei quaderni e la corrispondenza che registrano il tempo presente dell’incarcerazione. Si tratta quindi di una scrittura memoralistica e documentaria, che si apre infine anche sull’immaginario e il mondo dei sogni e che in questo senso non corrisponde a quel paradigma autobiografico-giudiziario che caratterizza parlopiù le scritture migranti in lingua italiana[62]. La scrittura di Iannelli invece si rivolge al passato e si ferma sulla soglia della prigione, dando una veste fittiva alla parte di storia documentaria raccontata dal manoscritto ma escludendo la narrazione dell’immaginario. 

Quale legame si stabilisce nel manoscritto di Farias tra la rappresentazione della soggettività queer, quale abbiamo analizzato nella parte precedente di questo saggio, e la rappresentazione del mondo della prigione e dei sogni? Il finale dei quaderni sembra coerente con un percorso di costruzione identitaria che sceglie la scrittura sia come un mezzo di conoscenza che come uno strumento di resistenza di fronte alle condizioni concrete della vita quotidiana in situazione carceraria. La consapevolezza della propria identità permette di mantenere l’unicità del soggetto – che non si scinde mai come invece avviene nel testo di Iannelli – fino ad aprirsi anche sul mondo dei sogni. L’inizio di quest’ultima parte del manoscritto afferma il valore dei sogni come stato intermediario tra l’illusione e la realtà: 

Aprile 17 1992

Il racconti dei sogno

Il sogni « Fantastise », Fantastiche ou fantasias ou pure che si fà dei volta è a realta. Per me un sogno ogni volta e una illusione mà del volta è una realta della vita. De cosa gia acaduta al passato ou che cade al presente futuro. So che non si puo razonare con il sogne.[63]

Farias stabilisce una distinzione tra i sogni legati esclusivamente all’immaginario, per i quali usa l’espressione « fantastiche » e la parola « fantasias », e i sogni che sono legati alla realtà, passata, presente o futura, definiti come « realta della vita ». Nel manoscritto appare dunque la rappresentazione di una soggettività che unisce la dimensione dell’immaginazione e della realtà: un corpo reale, di un uomo all’inizio, che inscrive in lui la fantasia, sia come travestimento, sia come possibilità di sognare altrimenti il proprio corpo e di inscrivervi il cambiamento. È attraverso la forza della fantasia come possibilità d’immaginare un altro corpo che la sua soggettività è cambiata, è attraverso la scrittura come fantasia in quanto possibilità di praticare l’immaginario e di  travestire la propria vita attraverso la finzione che Farias ha potuto resistere alla realtà della prigionia. 

Iannelli cambia completamente il finale del libro, escludendo queste due parti conclusive dei quaderni e dando una connotazione tragica alla fine. La narrazione del libro stabilisce una forte correlazione tra le metamorfosi del corpo e la migrazione: il viaggio assume una dimensione metaforica, in quanto viaggio nel proprio corpo, ma anche nel corpo sociale del Brasile e infine in quanto viaggio transatlantico[64]. Il viaggio da un sesso all’altro, ma anche da un continente all’altro, si configura come un’avventura ambigua e come una discesa dal cielo verso la terra. Nel descrivere questa progressione verso il male, il lavoro stilistico di Iannelli consiste nel creare una serie di metafore animali, (vacca, veado, biscia, diavolo, giaguaro, leopardo, demonio), intensificandone la connotazione fino a quella del demonio, per sottolineare il senso di questa caduta che struttura il romanzo. 

Abbiamo analizzato l’immagine della vacca associata ai giochi dei bambini e quella del veado, l’ingiuria che ossessionava Fernando bambino. Queste due parole sono state riprese dai quaderni di Farias. Iannelli però arricchisce il bestiario del manoscritto con altre metafore che non appartengono invece alla scrittura di Farias. Per esempio, prostituendosi di notte a San Paolo, Fernanda diventa un giaguaro:

Sul marciapiede, invece, mi battevo nuda come una femmina di giaguaro. Avevo natiche sensazionali e seni e body e tuttoapposto. Che il mio José paulista ci cascava dentro tutto intero. Io non battevo, gli vendevo un sogno. Gli sballavo dentro gli occhi, tra le gambe, appena lui mi avvicinava. Ma a San Paolo la notte era fredda e per essere giaguaro iniziai a bere forte. Whisky e vodka. Mi intorpidivo nel cervello, nei pensieri. Ero sola e precipitavo.[65]

Di notte, Fernanda, la « spudorata»[66] si spoglia e si trasforma in una femmina di giaguaro, animale ricorrente nei suoi incubi di bambino, a tal punto da sentirsi costretto a vestirsi per non essere molestato[67]. Una volta adulta, Fernanda nuda è diventata essa stessa quel sogno selvaggio di una femminilità aggressiva e feroce. In Europa, la metafora della donna giaguaro si trasforma in quella della donna leopardo, attraverso la pelliccia (sintetica) che Fernanda porta di notte per prostituirsi:

La mezza pelliccia di finto leopardo presa all’Upim dell’Esquilino mi inchiodava come un riflettore acceso sul protagonista: un clown, una puzza di piscio a colazione.[68]

L’Europa sembra però smascherare ogni possibilità di travestimento: la pelliccia finta rivela l’illusione. Come un proiettore troppo forte che mostra la realtà che si nasconde dietro un travestimento, il viaggio in Europa rappresenta lo smascheramento, l’impossibilità del sogno della metamorfosi. Eppure in Europa Fernanda esercita il suo fascino esotico di una dei primi transgender che vendono il proprio esotismo, ultima sponda delle sue metamorfosi: 

Scendevo da una macchina, salivo su un’altra. Rapida, rapidissimi i continentali. Veri coniglietti. Mai visti tanti soldi, mai lavorato tanto. Avevo i capelli neri lunghi fino al fondo schiena, minigonna brasileira su due tacchi alti che mi sparavano alla luna. […]  Ero fresca di Brasile e qualcosa ai clienti lo diceva. Lo sentivo, da come li attiravo dentro il mio sorriso. Vendevo esotico, e soltanto alle sei del mattino l’ultima fantasia era esaudita. […]  i José spagnoli compravano straniero. Lo sa il demonio cosa compravano. I corpi erano un incanto, bombati ad arte a Rio o San Paolo.[69]

La parola « fantasia » in questo brano è riferita alle voglie stravaganti dei clienti e alle prestazioni sessuali di Fernanda, in questa parola italiana risuona però anche il significato portoghese di travestimento perché Fernanda rappresenta il sogno transgender ed esotico dei clienti italiani. Appare così anche l’immagine del demonio che qui si riferisce metaforicamente ai desideri dei clienti e alla natura dello scambio sessuale. L’immagine del demonio, che prende il posto del diavolo, intensifica la rappresentazione della prostituzione come un’attività di lussuria, una connotazione diversa da quella che assume per la maggior parte dei transgender, come abbiamo visto attraverso i quaderni di Farias e il lavoro teorico di Porpora Marcasciano. L’elemento bestiale e mostruoso che fino a questo punto della narrazione era identificato con l’istanza narrativa attraverso le immagini della vacca, del veado, dellabicha, del giaguaro, del diavolo, che sottolineano il progressivo aumento di ferocia dalla campagna alle città brasiliane, fino alle città europee, diventa alla fine esterno al soggetto stesso. 

 

La parabola migratoria conduce Fernanda verso l’eroina e la cocaina, risposta disperata di fronte al progredire del virus dell’hiv, e alla perdita di riferimenti dopo l’emigrazione e il cambiamento di sesso: 

Mi striscio gli occhi coi colori, impasto le labbra di rossetto. Non è più il bel rituale, profumo il corpo, lo porto alla svendita finale. Sputo sperma, mi ungo il culo. Sniffo eroina, non ho più futuro. L’Europa è spenta, io brancolo nel buio. Non so più che voglio, perché lo faccio. Non fa più giorno, non so più chi sono.[70]

Fernanda si perde in Europa, nel freddo, tra la droga, la prostituzione e l’hiv, fino all’incarcerazione che conclude il libro, con le metafore del demonio e dell’inferno: 

Senza sforzo, nelle braccia del demonio, in Europa, ci si arriva a bassa voce, silenziosamente. Qui da voi, non si muore fragorosamente. Sparati o di coltello, tra urla e sforbiciate. Qui si sparisce zitti zitti in sottovoce. Silenziosamente. Sole e disperate. Di aids e di eroina. Oppure dentro una cella, impiccate a un lavandino. Come Celma che vorrei ricordare. Dormiva nella cella a fianco, dentro quest’altro inferno dove ora io vivo e che ho deciso di non raccontare.[71]

Alla fine del libro l’immagine del demonio rappresenta l’Europa come un mondo dove si muore silenziosamente, in modo molto diverso che in Brasile. La prigione, che non viene mai nominata in quanto tale, è evocata con la metonimia della cella e con la metafora dell’inferno, e rappresenta il tempo presente della narrazione. La prigione coincide con quello spazio che Farias racconta e in cui l’autore Iannelli scrive, ma che il narratore del libro decide di non raccontare. Questo spazio della prigione è rappresentato come la caduta finale verso gli inferi del personaggio di Fernanda. All’inferno, di fronte al demonio, non c’è possibilità di salvezza, la sopravvivenza è minacciata e la scrittura stessa è rimessa in questione. In questo punto della narrazione il bestiario giunge al climax, gli animali si trasformano in mostri e il libro s’interrompe con un suicidio. 

I quaderni di Farias sono scritti in un’interlingua fondata su una violazione rispetto alla norma a partire dalla disarticolazione sintattica e semantica, non come scelta espressiva, ma come sforzo di comunicazione tendente alla norma. Questa lingua ibrida è in stretto legame con la materia del racconto e pone la questione della violenza che struttura sia il livello linguistico che quello narrativo[72]. Nel passaggio dal libro al manoscritto questa violenza si tematizza e transita da una dimensione linguistica a una dimensione stilistica e narrativa attraverso diversi procedimenti di scrittura: le frasi brevi e sincopate; la ripetizione anaforica di variazioni di una stessa frase – intorno alla parola veado, alla dose di ormoni Anaclin, alle cariche della polizia sui transgender[73]– che sono come dei proiettili nella scrittura; immagini e metafore crude; e la costruzione del bestiario che amplifica quello già presente nei quaderni di Farias. Abbiamo visto come Iannelli rappresenti senza alcuna ellissi narrativa le operazioni subite da Fernanda, e descriva il corpo e il dissidio identitario del personaggio. In molte pagine si dilunga sulle violenze della polizia brasiliana su Fernanda e gli altri transgender, molti dei quali uccisi durante queste operazioni delle forze di sicurezza. I quaderni di Farias descrivevano già in diversi punti queste violenze poliziesche, ma il libro approfondisce la descrizione della brutalità subita dai transgender, e molte lettere testimoniano delle domande che Iannelli rivolgeva a Farias per sviscerare e comprendere questi affronti con le forze dell’ordine. Nel libro dunque la dimensione di violenza viene approfondita rispetto ai quaderni sia nel tracciare il percorso della protagonista sotto il segno della caduta, che nel descrivere l’ambiente tragico della vita dei transgender in Brasile come in Europa. 

La poetica del libro è quindi molto diversa da quella dei manoscritti e non è un caso se in accordo con l’estetica del libro, il finale mette in scena la caduta estrema verso il male che corrisponde con la sieropositività, l’incarcerazione di Fernanda e il suicidio della transgender Celma.  Al tempo stesso questa rappresentazione sembra anticipare il reale destino tragico di Fernanda Farias de Albuquerque che morirà qualche anno più tardi, come se la scrittura avesse prennunciato il suo destino. Esiste un legame tra questa scrittura e il percorso di questa persona? Rispondere a una tale domanda significherebbe fare delle supposizioni del tutto arbitrarie. Tuttavia il documentario Le strade di Princesa di Stefano Consiglio è una prova inquietante del legame tra il libro e la persona, nella misura in cui in molte scene Farias parla la stessa lingua del libro di Iannelli, come se voce di Iannelli fosse divenuta la voce ventriloqua di Farias. Sorge quindi un interrogativo più generale: qual è il ruolo della scrittura di fronte alla realtà? In che modo la rispecchia e la riflette, in che modo la crea, la anticipa e la modifica?

 

 

Per finire il nostro percorso critico su Princesa ci chiediamo come la soggettività di ciascun autore si rifletta nel proprio testo, mascherandosi dietro alla narrazione della storia di Fernanda. Se in ogni autobiografia c’è una parte di finzione che risiede nelle strategie di costruzione dell’io[74], qual è la parte di finzione che Farias de Albuquerque introduce nel suo racconto della vita di Fernanda? E viceversa qual è la parte d’autobiografia che Iannelli mette in gioco nella sua narrazione di questa storia? Ogni autore persegue una fantasia personale, secondo quel doppio significato che la parola assume in portoghese – immaginazione e visione dello spirito da un lato, mascheramento della realtà e travestimento di sé dall’altro – entrando in una queer zone personale. Farias de Albuquerque prende la parola, testimonia la sua vita, rivela il soggetto queer, costruisce la sua soggettività, sopravvive alle traversie della sua vita e alla prigione attraverso la scrittura. Il racconto di Farias pur essendo molto crudo non è tragico: descrive una soggettività queer presa tra le immense difficoltà che affronta giorno dopo giorno, una soggettività che non è in dissidio interiore, ma che si afferma e che si apre anche sulla dimensione onirica. Tuttavia, pur proiettandosi sulla scena attraverso il suo racconto orale e i suoi scritti, la scrittura di Farias de Albuquerque è in seguito nascosta, trasfigurata, spodestata perché la sua storia e la sua lingua vengono trasformate e inserite in un circuito che appartiene completamente alla società di arrivo, attraverso due autori principali, Maurizio Iannelli e Fabrizio De André, che inoltre appartengono al genere di cui lei vuole disfarsi. I suoi quaderni e la sua lingua sono in seguito dimenticati. La stessa Fernanda Farias de Albuquerque scompare qualche anno più tardi in circostanze tragiche che non sono mai state raccontate. In qualche modo, come per Herculine Barbin, l’unico eco di questa vita è stato possibile grazie a questo « incontro con il potere »  e « i giochi del potere e i rapporti con esso »[75], potere medico per Herculine Barbin, potere carcerario, ma soprattutto potere antagonista di un ex-brigatista e di un cantautore di successo -, per Fernanda Farias de Albuquerque. 

 

 

Iannelli ha scritto questo libro negli anni che hanno seguito l’abbandono ufficiale della lotta armata, all’inizio del suo percorso di uscita dal carcere che divenuto effettivo dieci anni dopo. La domanda che si pone è quindi di sapere se esiste un legame tra la violenza del libro che abbiamo visto amplificarsi rispetto al manoscritto e la violenza della lotta armata vissuta dall’autore ex-brigatista. Questa biografia di una metamorfosi attraverso la violenza subita e imposta al proprio corpo che è la storia di Fernanda scritta da Iannelli, non è anche una riscrittura segreta e metaforica del proprio percorso d’impegno nella lotta armata fino alla caduta finale, prima dell’incarcerazione? Il fascino e il sostegno che Iannelli dichiara aver trovato in Guimarães Rosa par la scrittura del libro forniscono qualche elemento supplementare che permette di sostenere questa ipotesi. Il Grande Sertão: veredas(1956) è un immenso romanzo la cui azione si svolge nel Nord-Est brasiliano e che descrive la guerra fra un gruppo di dissidenti, i jagunços, e l’esercito brasiliano prima della loro capitolazione. È anche il romanzo dell’amicizia tra Riobaldo, il jagunço e Diadorim, che alla fine del libro si scopre essere una donna travestita da uomo. Il libro di Guimarães Rosa sembra riunire le due esperienze di Iannelli di quegli anni: la lotta armata con le Brigate Rosse da un lato e l’incontro con Fernanda Farias de Albuquerque dall’altro, suggerendogli nuovi scenari di vita, un viaggio nel sertão del Nord-Est brasiliano, nel corpo, nella sessualità attraverso la scrittura. Guimarães Rosa chiamava questo libro la sua «autobiografia irrazionale»[76]. Ci chiediamo quindi se Princesa non sia stata una sorta d’autobiografia irrazionale anche per Iannelli. È possibile avanzare l’ipotesi che l’ex-brigatista si travesta dietro la storia di Fernanda e, attraverso questa vita, rivisiti la sua esperienza di affermazione e violenza attraverso la lotta armata in un momento di trasformazione identitaria e politica nel suo caso- che lo rende particolarmente sensibile alla metamorfosi di Farias. Con la sua rilettura a carattere morale della storia di Fernanda, Iannelli sta creando un corto circuito con la propria storia di ex-brigatista. A proposito della sua scrittura di Princesa, Iannelli ha dichiarato in un’intervista: 

penso che ci sia molto di me. Anche se introdotto in un modo del tutto clandestino, in un gioco di assunzione di ruoli e di costruzione poi del personaggio.[77]

È possibile quindi immaginare che la scrittura di questo libro rappresenti uno specchio per una riscrittura segreta della trasformazione identitaria di un brigatista. In quest’ottica la violenza che Fernanda impone al proprio corpo diventerebbe un’immagine della violenza del terrorismo sul corpo sociale, la violenza subita da Fernanda e dalle altre transgender un’immagine della violenza degli anni di piombo, il progetto di metamorfosi identitaria, descritto come tragico da Iannelli, una proiezione del sogno rivoluzionario dei brigatisti rossi, la caduta finale una metafora del destino drammatico delle Brigate Rosse e dell’impossibilità di questa rivoluzione. Il fatto che a differenza della narratrice dei quaderni, il narratore del libro non descriva la prigione, rappresenta un’ulteriore prova che l’autore, attraverso la storia di Fernanda, sta raccontando il proprio passato di terrorista, anteriore alla prigione, e la fine sanguinosa di questa esperienza. Un gioco di specchi si stabilisce tra questi due percorsi di vita così diversi l’uno dall’altro. 

Qualche altro elemento ci porta a perseguire questa ipotesi. Senza tradirlo, ma soltanto forzando qualche tratto, Iannelli introduce nel manoscritto di Farias l’intensificazione della violenza e la dimensione della caduta e della tragedia. I travestimenti hanno fatto parte quotidiana della vita dei brigatisti, obbligati, come queer del mondo politico, a travestirsi e a cambiare identità continuamente per sfuggire al controllo della polizia[78]. Tuttavia la risposta definitiva a queste domande resta aperta perché il libro di Iannelli non propone altri elementi testuali, a parte quelli evocati in precedenza sull’amplificazione della violenza, per sviluppare queste ipotesi che potremmo definire « fantasmagoriche », riprendendo la terminologia di Philippe Lejeune. Le riflessioni del critico letterario, specialista di scritture autobiografiche, sul romanzo come possibile forma indiretta di un patto autobiografico, ci spingono a perseguire questa ipotesi: 

Le lecteur est ainsi invité à lire les romans non seulement comme des fictions renvoyant à une vérité de la « nature humaine », mais aussi comme des fantasmes révélateurs d’un individu. J’appellerai cette forme indirecte du pacte autobiographique le pacte fantasmatique.[79]

Princesa potrebbe quindi essere letta come un’autobiografia «irrazionale e fantasmatica» della traiettoria di un ex-brigatista rosso. Poiché si tratta di un libro che appartiene a un insieme più vasto di narrazioni, potremmo immaginare un rapporto di tipo autobiografico tra questi diversi testi e i loro autori, come fa Philippe Lejeune quando stabilisce un rapporto tra i testi di uno stesso autore che creano uno « spazio autobiografico »:

Il ne s’agit plus de savoir lequel, de l’autobiographie ou du roman, serait le plus vrai. Ni l’un ni l’autre ; à l’autobiographie, manqueront la complexité, l’ambiguïté, etc. ; au roman, l’exactitude ; ce serait donc l’un plus l’autre ? Plutôt : l’un par rapport à l’autre. Ce qui devient révélateur, c’est l’espace dans lequel s’inscrivent les deux catégories de textes, et qui n’est réductible à aucune des deux. Cet effet de relief obtenu par ce procédé, c’est la création, pour le lecteur, d’un « espace autobiographique ».[80]

Alla luce di queste riflessioni di Lejeune, si potrebbe ipotizzare che se mai un giorno Maurizio Iannelli pubblicasse la propria autobiografia, il libro di Princesa potrebbe prendere un « rilievo vertiginoso »[81]. La rilettura di Iannelli si sovrappone alla storia di Fernanda non per l’invenzione della storia e degli avvenimenti, che sono tutti ripresi dalle diverse carte del manoscritto, ma per l’interpretazione e la ricezione di questo racconto. Iannelli ha riletto la storia di Fernanda attraverso il filtro della sua esperienza, costellata di episodi di emarginazione e di rifiuto per alcuni aspetti analoghi a quelli della storia di Fernanda. Iannelli ha sistematicamente tematizzato la lussuria, la trasgressione, la violenza in forme molto lontane da quelle di Farias: ha quindi riletto questa storia di vita con le categorie di chi concepisce il fatto di essere al margine a partire dalla propria esperienza di ex brigatista, aggiungendovi la dimensione del peccato e dello sbaglio morale. 

Al di là di queste proiezioni autobiografiche, la costellazione dei testi di Princesa, in particolare la corrispondenza, di cui abbiamo preso in esame solo un piccolo campione, mostra come nella composizione di questi scritti la migrazione si intrecci alla storia sociale e politica italiana. Marco Purpura all’inizio della sua analisi di Io, venditore di elefanti di Pap Khouma, insiste sul valore di testimonianza di queste prime narrazioni che hanno la capacità di riflettere i cambiamenti più profondi della società italiana: 

Il problema che la critica si è trovata a dover discutere è, infatti, come leggere questi testi, la cui forza è tutta nella capacità di entrare in risonanza con i mutamenti più profondi e insieme recenti della società italiana.[82]

Princesa anche costituisce un insieme di testi capaci di rappresentare l’Italia contemporanea e di entrare fin nell’intimità dei comportamenti sessuali. Il manoscritto e il libro descrivono già questo incontro tra la società italiana e le immigrate queer, di cui le prime sono arrivate dal Brasile all’inizio degli anni 1990. Le pagine introduttive di Iannelli rendono esplicito questo incontro tra i detenuti politici e i queer descrivendo gli sconvolgimenti e i cambiamenti che hanno determinato in alcuni di questi. I testi di Fernanda Farias de Albuquerque che non sono stati riscritti da Iannelli, né mai resi pubblici prima della realizzazione di questo sito, ovvero la parte finale dei quaderni e la corrispondenza, raccontano direttamente questa società italiana, vista attraverso la lente della vita carcerale degli inizi degli anni 1990. Attraverso queste relazioni e queste scritture le maschere identitarie degli uni e degli altri sono parzialmente cadute, dando luogo a una scrittura che testimonia di queste queer zones di trasformazioni soggettive e sociali. Infatti, al di là del fondamento dell’ipotesi secondo la quale Princesa sarebbe un’autobiografia fantasmagorica e irrazionale di Iannelli, è innegabile che questa scrittura abbia permesso all’autore di evolvere da un’identità di brigatista, verso una nuova forma di impegno che non passa più attraverso la lotta armata, ma la testimonianza della parola degli esclusi e delle vittime, attraverso un’attività letteraria e artistica che trae fondamento nelle zone più controverse della realtà sociale e che sarà sviluppata dall’autore negli anni successivi attraverso una vasta produzione di docu-fiction televisivi. 

 

Una delle prime testimonianze della soggettività queer è stata pubblicata dal filosofo francese Michel Foucault che ha ritrovato i quaderni di Herculine Barbin. Alcune somiglianze tra questo testo e quello di Princesa ci fanno riflettere. Michel Foucault ha infatti ritrovato solo una parte dei quaderni manoscritti che il medico Tardieu aveva selezionato per confermare le sue ipotesi sulla divisione dei sessi. Foucault non è riuscito a ritrovare in nessun archivio l’insieme dei quaderni di Herculine Barbin che sono probabilmente andati persi, per cui l’(auto)rappresentazione che emerge è completamente filtrata da quel potere medico che ha permesso al testo di essere conservato, ma che l’ha al tempo stesso mutilato. Pubblicare il manoscritto del libro di Princesa come un testo a pieno titolo rappresenta per noi un modo per riparare a questo tipo di mutilazioni. 

 

Restituire Princesa come una costellazione di testi diversi fra loro permette di interrogare più profondamente la questione dell’identità, della scrittura e della letteratura. La storia di composizione di Princesa porta a interrogarsi su quali siano le condizioni che permettono a un testo di diventare un testo letterario e di affermarsi come un testo legittimo. Il fondamento linguistico da cui nascono tutti questi testi è un’interlingua che decostruisce l’identità stessa di una lingua. La descrizione del processo di scrittura di Princesa mostra poi che la scrittura di sé pone il rapporto all’alterità, già implicito nel pronome io: essa rivela l’altro che è l’altro di sé e l’altro esterno a sé. Princesa attraverso la storia dei suoi testi è una sorta di cartina di tornasole che mostra con forza ed evidenza ciò che è all’opera nel campo della letteratura della migrazione e in quello della letteratura più in generale. Questo racconto di una storia d’immigrazione e di trasformazione trans-identitaria attraverso la sua storia di composizione rappresenta con forza metaforica quei procedimenti che sono alla base della scrittura stessa: la dimensione della letteratura come incontro, conflitto, potere, appropriazione, rapina, patto, compromesso…

 

Per citare questo articolo: «Anna Proto Pisani, Io sono un’altra: proposta e silenziamento della voce queer di Princesa», in Ugo Fracassa, Anna Proto Pisani (a cura di), http://www.princesa20.it/category/critica/nota-alledizione/

 

[1] Maurizio Iannelli, Note di contesto, in Maurizio Iannelli, Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa, Sensibili alle foglie, 1994, pp. 7-10.

[2] Carlo Conversi, Princesa. Incontri irregolari in serie televisiva di Anna Amendola Storie Vere, RAI, 1994.

[3] Alessandro Portelli, « La figura di una donna », in Caffé, n. 1, settembre 1994, pp. 4-5.

[4] Michel Foucault (éd), Herculine Barbin dite Alexine B. suivi de Un scandale au couvent d’Oscar Panizza, Paris, Gallimard, 2014 (1ère édition 1978).

[5] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano. Copia iniziale di lavoro conforme all’originale manoscritto, Rebibbia, 1992, pp. 18, 42, 67, 69, 91. 

[6] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 16, p. 30, p. 38, p. 41, p. 54, p. 58, p. 80, p. 87.

[7] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 3.

[8] Ibidem, p. 1. 

[9] Ibidem, p. 2. 

[10] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 14. 

[11] Ibidem, 17.  

[12] Ibidem, p. 20. 

[13] Ibidem, p. 23. 

[14] Fabrizio De André, Anime salve, 1996, BMG Ricordi. 

[15] Per un’analisi dettagliata della riscrittura della canzone Prinçesa di De André vedi Stefano Moscadelli, « Prinçesa di Fabrizio De André », Ugo Fracassa, « Il viaggio intertestuale di Princesa » e Anna Proto Pisani, « Itinéraire d’une réécriture. Fantasias et déguisement autour de Princesa », nello Scaffale del sito: http://www.princesa20.it/category/critica/scaffale-princesa/.

[16] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 17.

[17] Ibidem, p. 20. 

[18] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, p. 6. 

[19] Ibidem, p. 7.

[20] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., pp. 18-19.

[21] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, pp. 7-8. 

[22] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 20.

[23] Ibidem.

[24] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, p. 8. 

[25] Ibidem, p. 2. 

[26] La parola anzi è cancellata da Iannelli e sostituita da anche.

[27] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, p. 2. 

[28] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 16. 

[29] Il termine fantasia è usato ancora una volta da Iannelli quando descrive il travestimento di Fernando la sera a Campina Grande: « Nella stoffa delle mutandine, leggero, sul davanti, un solco verticale lascia intuire il segno di una fessura femminile. Un inganno, la mia fantasia», p. 30. 

[30] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 9.

[31] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., pp; 22-24.

[32] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 18.

[33] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 24.

[34] Ibidem, p. 36. 

[35] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 26. 

[36] Ibidem, p. 31.

[37] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 42.  

[38] Ibidem, p. 57.

[39] Alessandro Portelli, « La figura di una donna », Caffé, op. cit., p. 5.

[40]Dyonyso Toledo, « Sur la composition de Grande Sertão : Veredas », in http://www.freud-lacan.com/articles/article.php?url_article=dtoledo260294  

Eva Landa « João Guimarães Rosa, Diadorim » in Michaud Henriette, « Autobiographie et biographie d’Ernest Jones » in Le Coq-héron, 2004/2 n. 177, pp. 107-123. DOI : 10.3917/cohe.177.0107, 

http://www.cairn.info.lama.univ-amu.fr/revue-le-coq-heron-2004-2-page-107.htm (consultata il 27 febbraio 2015).

[41] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, p. 39.

[42] Ibidem, pp. 32-33.

[43] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 44.  

[44] Porpora Marcasciano, « Trans, donne e femministe. Coscienze divergenti e/o sincroniche » in Teresa Bertilotti, Cristina Galasso, Alessandra Gissi, Francesca Lagorio (éd.), Altri femminismi. Corpi, culture, lavoro, Roma, Manifestolibri, 2006, pp. 37-53, p. 41.

[45] Ibidem, p. 51. 

[46] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit, p. 42.

[47] Ibidem, p. 43. 

[48] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., pp. 59-62.

[49] Ibidem, p. 59. 

[50] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 51. 

[51] Ibidem. 

[52] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 59.

[53] Ibidem, p. 105.

[54] Ibidem, p. 111. 

[55] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 67.

[56] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 94. 

[57] Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, op. cit., p. 36.

[58] Ibidem, p. 46 et ssg. et pp. 74 et ssg. 

[59] Marie Hélène Bourcier, Queer zones. Politiques des identités sexuelles et des savoirs, Paris, Éditions Amsterdam, 2006 (prima edizione: Éditions Balland, 2001). Marie Hélène Bourcier, Sexpolitique. Queer zones 2, Paris, La Fabrique, 2005. Marie Hélène Bourcier, Queer zones 3. Identités, cultures, politiques, Paris, Éditions Amsterdam, 2011. 

[60] Fernanda Farias de Albuquerque ha continuato a scrivere ben oltre l’esperienza dei quaderni del carcere, poiché gli ultimi documenti conservati sono le lettere indirizzate a Maurizio Iannelli una volta rientrata in Brasile e la corrispondenza con Giovanni Tamponi mantenuta fino a poco tempo prima di morire. Questi documenti – che non costituiscono l’avantesto di Princesa – sono conservati negli archivi personali dei rispettivi destinatari e amici di Fernanda.

[61] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op.cit., p. 88.

[62] Cfr. Chiara Mengozzi, Narrazioni contese. Vent’anni di scritture italiane della migrazione, Roma Carrocci editore, 2013.

[63] Fernanda Farias de Albuquerque, Princesa. Sono venuta di molto lontano, op. cit., p. 91.

[64] Sul passaggio atlantico vedi Edouard Glissant, Poétique de la Relation, Paris, Editions Gallimard, 1990 et Alessandro Portelli, «Le origini della letteratura afroitaliana e l’esempio afroamericano.» in El Ghibli, anno 0, numero 3, marzo 2004, in http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_00_03-section_6-index_pos_2.html

[65] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 69. 

[66] Ibidem.

[67] Ibidem, p. 15. « Se il giaguaro ti spaventa o l’Uomo Nero ti molesta, copriti con la maglietta. Non dormire nudo e non avrai paura ». 

[68] Ibidem, p. 99.

[69] Ibidem, p. 80.

[70] Ibidem, p. 101. 

[71] Ibidem, p. 103. 

[72] Anna Proto Pisani, Dans une autre langue. Femmes, migrations et littérature en Italie (1994-2010) thèse de doctorat, sous la direction de Claudio Milanesi, Université d’Aix-Marseille, 2013, pp. 24-29. 

[73] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Iannelli, Princesa, op. cit., p. 78 : « In Europa la polizia non ti ammazza per la strada. Una cuccagna », p. 79 «In Europa non t’ammazzano sparata», p. 90 « Qui, in Europa, non t’ammazzano per strada ».

[74] Francesco Bruni (éd), In quella parte del libro de la mia memoria : verità e finzioni dell’ io autobiografico, Venezia, Marsilio, 2003 ; Lucia Omacini (éd), Le statut du sujet dans le récit de mémoires, Padova, Unipress, 1999; Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique, Paris, Seuil, 1980. 

[75] Michel Foucault, « La vie des hommes infâmes » citato in Eric Fassin, Le vrai genre, in Michel Foucault (éd), Herculine Barbin dite Alexine B. op. cit., p. 226.  

[76] Marcelo Marinho, « João Guimarães Rosa, “autobiografia irracional” e crítica literária: veredas da oratura » in Letras de Hoje, Porto Alegre, vol. 47, n. 2, 2012, pp. 186-193, 

http://revistaseletronicas.pucrs.br/ojs/index.php/fale/article/view/11315 (consulté le 12 avril 2013).

[77] Alessandro Portelli, « La figura di una donna », Caffé, op. cit., p. 4.

[78] Giovanni Bianconi, Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate Rosse, Torino, Einaudi, 2003.

[79] Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique, op. cit., p. 42.

[80] Ibidem, p. 42.

[81] Ibidem, p. 43. 

[82] Marco Purpura, « Contro l’identità? Il valore della testimonianza in Pap Khouma », in Intersezioni, a. XXVII, n. 3, décembre 2007, pp. 461-474, p. 461.